Capitolo #1

Un feudo malaspiniano

Siamo nel Medioevo, nel cuore della Lunigiana: Giovagallo è un borgo cui la famiglia Malaspina lega la sua storia.

L’antico feudo, che comprendeva anche i territori di Bola e Novegigola, in seguito a divisione, pervenne nel 1266 al marchese Manfredo Malaspina (detto “il lancia”, per la sua abilità nell’usare quest’arma).

Questi edificò e ampliò un castello con borgo murato sopra una collina impervia, quasi inaccessibile e invalicabile su rocce affioranti, situata sulla destra del torrente Penolo.

Capitolo #2

Il Castello

Il castello, lesionato dal tempo, di cui oggi non restano che i ruderi, era uno snodo strategico per le caratteristiche logistiche e strutturali: posto su un colle orientale del Monte Corneviglia, era circondato sia a est sia a ovest da due gole profonde e raggiungibile via strada dal lato nord.

Una posizione favorevole, utile alla difesa, ma poco adatta all’abitazione: la leggenda vuole che, in periodo di pace, il castello venisse abbandonato.

Dalla torre principale il maniero consentiva la vista di un ampio territorio feudale: la struttura ospitava i marchesi, gli armigeri e naturalmente gli inservienti, una cisterna convogliava l’acqua in un condotto in muratura, rendendo il castello indipendente e autonomo anche in caso d’attacco e un oratorio ospitava Alagia in preghiera.

Capitolo #3

Le citazioni dantesche

Prima con Manfredi, nel 1266, poi con suo figlio Moroello e la moglie Alagia Fieschi, i marchesi Malspina sono mecenati generosi di Dante Alighieri.

Una generosità che il sommo poeta ricambia citando Moroello nel XIV Canto dell’Inferno e Alagia nel XIX Canto del Purgatorio.

Moroello è definito “vapor di Val di Magra” e la sua figura viene esaltata per il valore nella battaglia di Campo Piceno, che il marchese di Giovagallo vinse (Canto XIV, v.145-151):  

“Tragge Marte vapor di Val di Magra
Ch’è di torbidi nuvoli involuto;
E con tempesta impetüosa e agra
Sovra Campo Picen fia combattuto;
Ond’ei repente spezzerà la nebbia,
Sì ch’ogni Bianco ne sarà feruto.
E detto l’ho perché doler ti debbia!”
 

Alagia è protagonista del Purgatorio, dove Dante la distingue dal resto della famiglia definendola buona d’indole (Canto XIX, v. 142-145):

“Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
Buona da sè, pur che la nostra casa
Non faccia lei per essempio malvagia;
E questa sola di là m’è rimasa”.

Capitolo #4

Le prove della presenza di Dante

Il sommo poeta esalta Moroello benché avesse ferito e ridotti all’impotenza i suoi amici.

Più commovente è il cenno che fa di Alagia Fieschi: l’elogio, posto nel dominio dell’Avarizia, esalta la generosità della nobildonna, tanto prodiga di suffragi in favore dei propri morti che lei, dice Dante, non avrà bisogno dell'intervento di nessuno per assurgere un giorno alle beate genti.

L’Elogio vale senz'altro anche a sottolineare la riconoscenza di Dante per l’ospitalità goduta nel castello di Giovagallo.