Oggi è un giorno speciale. Mentre scendo dal taxi, questo pensiero mi ferma il respiro, come l’aria bollente che mi accoglie a Forte dei Marmi in questo agosto assolato. Sono passati quarant’anni. Tanto è il tempo che manco dal paese e dalla mia infanzia. Adesso sono tornato e vorrei riappropriarmi di entrambi.
Sul filo dei ricordi arrivo al Fortino. Alla sua ombra mangiavo le focaccine di Valè. Lo osservo da uomo adulto, che ne conosce la storia. Lo fece costruire un Granduca illuminato, Pietro Leopoldo I Asburgo Lorena, sulla stessa strada del magazzino, che accoglieva i marmi trascinati dai buoi fino al mare. Avrebbe dovuto proteggere il piccolo borgo di pescatori e ne cambiò anche il nome: da Magazzino, a Forte dei Marmi.
Proseguo. Ecco Piazza Marconi, la piazza dei cavallini. Se la vedi dall’alto, ti appare come un anello asfaltato con il cuore verde, morbido e ondulato delle fronde dei pini. Ma se la raggiungi a piedi è piccola e raccolta. Una pineta tonda, dove i pini svettano alti e impavidi. Mi rivedo in lacrime, stizzito per aver finito i giri a disposizione sul calesse del mio pony preferito. Gli occhi imploranti, davanti al viso impassibile dei genitori di una volta, quando un no era per sempre. Il tempo ha lasciato il segno. I giochi sono stati spostati e i cavallini ancora non ci sono. È troppo caldo. Arriveranno quando l’aria si farà più tiepida. La nostalgia si insinua e i ricordi si affollano, uno su l’altro, come pietre giù da un canalone. Avrò fatto bene a tornare? La risposta mi arriva con il rumore degli zoccoli dei pony. Vederli e ritrovare le sensazioni di allora è un attimo. Sì, ho fatto bene.
La prossima meta di questo viaggio a ritroso è il mare. Per primo, trovo il pontile. È una striscia nell’acqua. Davanti, l’infinito, ma se ti volti indietro, vedi le montagne. Maestose e fiere si specchiano tra i flutti, sbattuti contro i pali della struttura, l’altra anima del paese. Da sempre, vi si attaccano i mitili, che al Forte chiamano “muscoli”, come quelli usati dagli uomini che l’hanno costruito nel 1877. Lunghe travi in legno solcate da binari, utilizzati dai carri, caricati dei marmi scavati dalle montagne. Un viaggio lento e faticoso. Fatto di sudore e sangue. Oggi non è più così. Estate dopo estate, il pontile ha visto sbocciare amori, crescere bambini e invecchiare persone. La spiaggia è rimasta uguale. Lunga e dorata. Ai primi del 900 ammaliò artisti e poeti, che la consacrarono ai posteri.
Chiudo il tour della memoria davanti a un’enorme coppa di gelato in un bar del centro. A onor del vero, da piccoli tutto sembra più buono, ma la crema con una cioccolata densa e scura, farcita di granella di nocciole, non è niente male. Magari il prossimo anno, lascio perdere i viaggi low cost e torno, quasi come il figliol prodigo della parabola di Gesù.