L’antica storia di un paese dedito da sempre alla lavorazione della lana
La lavorazione della lana è conosciuta in Casentino da tempi remoti: arrivata coi Romani la tessitura era destinata a non lasciare la valle mai più. Dagli antichi pesi per telaio al simbolo dell’Arte della Lana nello stemma di Stia, la tradizione non ha fatto che reincarnarsi fino ad accendersi nell'abbaglio del panno Casentino.
Un documento del
1349 parla di "gualchiere per purgare e sodare i panni": già allora a
Stia veniva tessuta una stoffa rustica e compatta, da vendersi a Prato e Firenze. Ideale per la resistenza all’usura
e alle intemperie, era usata da monaci e pastori. All’inizio fu proprio l’ostilità
dei Magistrati dell’Arte della Lana della città del giglio a imporre una
rifinitura grossolana alla lana casentinese: simile al saio
dei francescani non avrebbe fatto concorrenza alla produzione cittadina. E quando a metà
del Cinquecento i pannaioli riuscirono a migliorarne la qualità, l’Arte impose un marchio che distinguesse le stoffe di Stia da quelle cittadine.
Nel frattempo i tessitori continuavano a raffinare le tecniche di lavorazione tra le botteghe sotto i portici del Borgo
Maestro...
Nell’800 il nome stesso del Casentino divenne sinonimo dell’inconfondibile panno pesante, arricciato e (spesso) arancione prodotto proprio a Stia. Il mitico colore si dovette a un errore: la tintura venne fissata, per inesperienza, con l’allume di rocca anziché col solfato di alluminio – che avrebbe restituito un rosso vivo – ma la novità non dispiacque, e fu così che l’arancio un po’ alla volta si fissò indissolubilmente tanto nei panni quanto nell’immaginario collettivo. Presto a quel colore fu affiancato il verde, un tocco di eleganza definitivo: i cappotti di Casentino erano ormai indossati da personaggi come Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini o il barone Bettino Ricasoli.
Dal 1738
a Stia la manifattura della lana conobbe un improvviso sviluppo: Francesco III
di Lorena liberalizzò sia la produzione che il commercio dei panni in
tutta la Toscana, finivano i privilegi per l’Arte della Lana fiorentina. Più tardi il merito della continua crescita fu della famiglia Ricci, che nel 1852 costituì la
Società di Lanificio di Stia. All’Esposizione Nazionale del 1861, la prima
dell’Italia unita, il Lanificio vinse la medaglia d’oro per i panni militari. Nel 1894 il Lanificio passò alla famiglia Lombard, che ne affidò la direzione al veneto Giovanni Sartori, allievo di Alessandro Rossi, fondatore della LaneRossi di Schio. Sartori portò la fabbrica
al livello dei più importanti lanifici italiani e nel 1918, anno della sua morte, il Lanificio era all’apice del suo prestigio (forniva addirittura Casa Savoia!). Alla fine della Prima Guerra mondiale i 500 operai producevano oltre 700.000 metri di stoffa. Tra le due guerre il Lanificio resse la concorrenza ma poi entrò in una
crisi che lo portò al fallimento del 1985.
Oggi le sue gloriose strutture ospitano il Museo dell’Arte della Lana, mentre la tradizione del panno è
tenuta in vita da altri lanifici del territorio.