La leggenda del lupo mannaro si diffonde nel borgo del Piagnaro nell’Ottocento. Piagnaro è il nome della fortezza che sovrasta Pontremoli a partire dalla sua millenaria fondazione. Il borgo del Piagnaro è il gruppo di case in pietra che dal castello scendono fino alla Pontremoli granducale, la “città nobile” dei palazzi settecenteschi. All’epoca della leggenda il borgo era il quartiere popolare, il più povero. Le condizioni igienico-sanitarie erano precarie, la gente si arrangiava e si ammalava facilmente. In assenza di una vera illuminazione pubblica, dopo il tramonto il borgo era al buio. Il lupomanaio si aggirava qui.
Sulle montagne attorno a Pontremoli c’erano i lupi. La popolazione ci conviveva, spesso con fatica, sempre con rispetto e timore. Per fare un lupo mannaro, però, oltre al lupo, ci vuole un uomo. Ogni generazione di bambini, e non solo di bambini, per oltre cent’anni ha cercato di capire chi fosse quest’uomo, e per ogni generazione c’era un lupo mannaro, o più di uno: una volta era il fornaio, perché lavorava di notte e perché era un uomo molto brutto, oppure il mite calzolaio che con il buio sfogava la sua repressa indole bestiale. Oppure il ragazzo “ritardato”, facile oggetto di scherno. O lo straniero, il diverso di cui si sapeva poco.
Dicerie. Ma circa 150 anni fa, un uomo, mai identificato, di tanto in tanto viene visto avvicinarsi al borgo. È seminudo, con solo la pelliccia di qualche animale buttata sulle spalle. Capelli neri, sporchi e molto lunghi. Sempre scalzo. Poi si dice di averlo visto di notte per i “sörcheti” del borgo o sui tetti, e che gli animali trovati morti in giro – galline, pecore, mucche, cani – sono opera sua; ogni rumore notturno a cui non si può dare spiegazione, è lui a produrlo. Se uno non riesce a dormire, è perché lo sente ululare. I bambini lo disegnano con pezzi di carbone sulle pietre della strada. Gli viene dato un nome: “il lupo”. La paura dilaga. Si dice di non uscire la notte con la luna piena e, se lo incontri, devi precipitarti a salire più di tre scalini, perché lui non riesce a salirne più di tre. Il “lupo” attira a sé i cani randagi, fruga a quattro zampe tra gli avanzi di cibo lasciati qua e là e si rotola nei letamai, forse per alleviare la sua smania. Non guardarlo mai negli occhi: o muori di paura sul colpo, oppure ti aggredisce e ti mangia vivo.
Il “lupo”, quel lupo mannaro, sparisce nel nulla come dal nulla era venuto. Qualche mese dopo, una neonata viene lasciata davanti all’uscio di casa di una famiglia del borgo. Destino comune di molti figli di madri sole e povere. Ma la bimba non viene consegnata alla ruota degli orfani di un convento, ma a una famiglia. Strano. La bimba cresce sana e felice, si sposa poco più che ragazza e partorisce due gemelli. Un maschio e una femmina. Il maschio è strano quanto l’origine di sua madre. Ma questa è un’altra storia che si racconta a Pontremoli. O in fondo è la stessa.