Emozioni e pensieri di un pellegrino in cammino sulla Via Francigena dal Passo della Cisa a Pontremoli
Il primo passo è il solo che conti, bisogna decidere di partire, di mettersi in viaggio, di riempire la bisaccia, di cucire quel pezzo di stoffa che da tempo è lì nel baule, farne il mantello che mi accompagnerà, che mi salverà dal freddo e mi coprirà dalla pioggia. Partire non è facile, non lo è nemmeno quando si ha il desiderio profondo di purificare l’anima, nemmeno quando quel cammino, quella via che conduce a Roma, si rivela l’unica strada possibile. Non sono a un bivio, non ho alternative, posso solo mettermi in viaggio, oggi posso solo lasciare da parte la tiepidezza del quotidiano e compiere il primo passo.
Da qui tutto sembra più chiaro, da qui lo sguardo spazia verso un nuovo orizzonte: lo chiamano Monte dei Longobardi, sono qui, sulla sommità, ora sento una brezza diversa, mi accorgo di essere più vicino al mare, avverto un profumo di frassino, mi appoggio ai fusti dei faggi. Le cime, a destra e a sinistra, hanno forme eleganti, proteggono la valle con una insolita imponenza mista a dolcezza. Ora non mi resta che scendere a valle, al tramonto devo essere a Pontremoli, sul taccuino che porto con me è segnata la strada, chi mi ha preceduto scrive di aver goduto di un paesaggio incantevole, di aver incontrato persone accoglienti, di aver gustato un delizioso pranzo offerto da una gentile famiglia in un borgo che immagino essere non lontano da qui.
La strada si allarga, dal sentiero di crinale scendo su una mulattiera, scorgo un gruppo di case, i comignoli fumano e si sente il tintinnio frequente di arnesi da lavoro; insieme al tintinnio sento però anche il brontolio del mio stomaco, ho già percorso diversi chilometri ed è giunto il momento di fare una sosta. Nello sguardo della signora che mi accoglie in una delle prime case riconosco immediatamente la donna descritta sul taccuino di Berto che porto con me: è lei, cerco quindi di ottenere almeno un tozzo di pane! Berto aveva ragione, l’ospitalità in questa valle è squisita: Maria mi fa sedere in una cucina annerita dal fumo, sulla tavola un buon vino rosso e, poco lontano, il chiarore del fuoco: mi avvicino e noto che la donna sta cuocendo una strana pietanza in un contenitore mai visto, una specie di forno portatile fatto in ghisa “sono i testi – mi dice – e questa è pattona, una torta di farina di castagna”. Guardo fuori e dalla finestra, sul versante opposto, vedo una distesa di castagni: “Il castagno ci salva dalla fame, è l’albero del pane: le castagne vengono seccate qui sul metato – e indica una specie di soppalco sopra il fuoco – e poi portate al mulino per farne farina. Non è un cibo ricercato, ma è saporito e da forza!”. E invece quella pattona era davvero buona, ed era buono anche il vino, buono quel pane cotto nei testi sopra un letto di foglie di castagno, deliziosa la torta salata fatta con le erbe spontanee. Con il dolce ricordo di questo pranzo riprendo la mia strada, Pontremoli dovrebbe essere a circa quattro ore di cammino da qui.