Alla scoperta del Monastero di San Bruzio e dell'ultra bimillenario Olivo della strega ~ di Dianora Tinti
Accade spesso per i luoghi, come per le persone, che alcuni richiamino la nostra attenzione prima ancora di saperne le ragioni, sprigionando oscure alchimie e strani poteri. Credete, è così anche per la Maremma, fiaba di cavalli, di mare, di reperti archeologici e di chissà che altro. Ed è proprio in mezzo a questa terra, a non più di tre chilometri dal borgo di Magliano in Toscana, che seguendo un sentiero nella campagna deserta si arriva al Monastero di San Bruzio. In questo angolo di terra sospeso tra gli ulivi e il mare, tra i più raccolti e dolci della Maremma, il silenzio è talmente assordante da annientare ogni cosa, perfino i pensieri, così da lasciarci nudi, indifesi.
Sì, perché è impossibile sfuggire alla suggestione di questa gigantesca rovina, delle mura diroccate, delle pietre sconnesse sulle quali salgono arbusti tenaci ed erbe dure e taglienti, della cupola sfondata dalla quale si può ammirare il cielo e le stelle nelle più belle notti estive. C'è qualcosa di ammaliante che permea la campagna circostante e che, in alcune limpide giornate, pare portato da un leggero vento di mare… e quando si risale il viottolo fino alla strada, lo si fa con il rammarico pungente di chi abbandona un luogo speciale sperando soltanto di poterci ritornare.
Un residuo di medioevo, di streghe e prodigi. La sensazione eccitante che si prova di fronte all'enorme, ultra bimillenario, Olivo della Strega è quella che qualcosa di quei tempi si sia incarnato nei suoi rami e nel suo mastodontico tronco. Una leggenda antichissima è infatti legata al suo nome e a quello di Magliano. Si racconta che l'olivo, ogni volta che il sacerdote della chiesa accanto concludeva l'invocazione rituale, si contorcesse in modo spaventoso e questo fatto venne subito attribuito all'opera di una strega.
Molti, infatti, furono pronti a giurare che ogni venerdì un gatto dagli occhi di fuoco si aggirasse intorno all'albero con lugubri miagolii e così gli abitanti del luogo, dopo il tramonto, si tenevano ben lontano da lì. Anche oggi si predilige visitare la pianta con il sole che lo dipinge di mille colori, quindi, mi raccomando, cercate di non capitarci verso sera quando con la penombra continua ad assumere contorni vagamente inquietanti che rievocano riti pagani, fauni, centauri e strane figure.