La magia del capoluogo della Contea, dove la natura abbraccia un borgo tra i più belli d'Italia
Alle pendici del monte Calvo, nella frazione di Selva, i frati del convento della Santissima Trinità conservano ancor oggi in una teca i resti di un misterioso teschio, che un’antica leggenda vuole essere d'un drago: il serpente Cifero. Alla fine del quattrocento ripetuti casi di sparizioni di boscaioli e animali, là dove i boschi tra Santa Fiora e Selva si facevano sempre più fitti e scuri, misero in allerta la popolazione. La paura cresceva di giorno in giorno tanto che il giovane conte Guido Sforza, che regnava nella contea di Santa Fiora, annunciò di voler affrontare il terribile mostro per ucciderlo. Riuscì nell’impresa con l’aiuto di mago Merlino e dei frati di Selva. Il conte tornò al castello di Santa Fiora con il teschio tra le mani. Rimane un mistero la vera natura dei resti conservati nella teca. Forse si tratta della mascella di un coccodrillo ma solo una cosa è certa: per molti secoli la testa del drago fu oggetto di venerazione da parte dei fedeli che la ossequiarono con il rito del bacio.
Guido, figlio di Bosio I e di Cecilia, nipote degli Sforza di Milano, nacque a Santa Fiora il 20 febbraio 1445. Regnò sulla Contea con il desiderio di riportarla agli antichi fasti, trasformò la Peschiera da bacino idrico in vivaio di trote e commissionò delle opere a una delle famiglie di artisti più importanti del tempo: i Della Robbia, scultori specializzati nella tecnica della terracotta invetriata. Una preziosa collezione delle meravigliose maioliche robbiane è conservata ancor oggi nella Pieve delle Sante Flora e Lucilla. Tra queste vi sono opere di grandi dimensioni realizzate da Andrea della Robbia nel Quattrocento, raffiguranti la vita di Gesù. Il bianco e l’azzurro erano i colori dominanti, arricchiti dai gialli, dai verdi e dalla terra di Siena. La copertura d’invetriato forniva una efficace protezione dall’usura e si rivelò fondamentale per le località di montagna, così umide e gelide, dove “niuna pittura ne’ anche pochissimi anni si sarebbe conservata” diceva Vasari. Merita ammirare la Madonna della Cintola, l’Ultima Cena, l’incoronazione della Vergine e i Santi Francesco e Girolamo, la Resurrezione e il Battesimo di Gesù, attorno al quale è nata una leggenda: si narra che da uno dei grappoli d’uva posti nella cornice laterale manchi un acino: staccato da un soldato americano durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nella castagna c’è tutto: sapore e sostanza, vitamine, sali minerali e zuccheri. Avere annate abbondanti era fondamentale e per questo si chiedeva aiuto al cielo invocando San Michele, il santo protettore del raccolto. Ogni anno a Santa Fiora, in occasione della sua festività, prendeva vita il rito del fuoco che purificava e scacciava il male. L’accensione di una grande carboniera era segno propiziatorio di buon raccolto. Un antico detto dice “San Michele, la castagna è nel paniere”. Del resto, come citava padre Balducci, “la montagna, con le castagne, era la nostra madre, ci allattava”.