Tra castelli e pievi, Medioevo e futuro; la presenza di Don Milani, il polo culturale. E pane con l’olio buono dopo la scampagnata ~ di Emiliano Gucci
La incontrò al capolinea dell’autobus, per niente invecchiata, gli occhi accesi e un cappello dei suoi. Si scambiarono un abbraccio, due parole strozzate: erano emozionati ma attraversando Calenzano lei gli parlò di sé, dei suoi viaggi, lui del nuovo palazzo comunale e della piazza rifatta, della biblioteca bellissima, dell’Università, della chiesa appena nata. Tutto era cresciuto ma niente li sovrastava, e ne erano rinfrancati.
«È lo stesso cielo di quand'ero ragazzo» disse lui, mentre lei già guardava oltre, dove s’inchinava sui colli.
Salirono su perché Calenzano è le sue pievi, ogni pietra e ogni albero incontrati sulla via, la quiete che pacifica: le torri del castello di San Niccolò, il selciato a massaggiare i piedi, la facciata nuda della chiesa; il museo del Figurino Storico, il piacere di abbandonarsi al Medioevo. E sul poggio di fronte le geometrie di San Donato, col chiostro mediceo e il campanile, i cipressi che svettano.
«Si sente la voce di Don Milani» disse lei, e lui fu sorpreso sapesse dei sette anni di Lorenzo trascorsi lì, cappellano al servizio degli ultimi; della sua scuola popolare, delle Esperienze pastorali.
E poi si lasciarono andare, coi pensieri e con due biciclette, poche pedalate e svoltarono nel verde di Travalle, ai piedi della Calvana. Sbirciarono la villa degli Strozzi, l’incantevole giardino, e vigneti e uliveti procedendo verso nord, per la Ginoriana di Collina e oltre, fino Legri, la pieve romanica di San Severo e il castello dei Guidi alle pendici di Morello.
«I ciclisti veri scalano le Croci» disse lui, che ci sarebbe andato per goderne il refrigerio, ma le gambe di lei scelsero l’antica Settimello. Si sdraiarono nel parco del Neto, tra tigli e cipressi di palude. Prolungarono un silenzio, si guardarono negli occhi. Pensavano entrambi la stessa cosa?
«Certo, con uva e olive ci facciamo cose egregie» disse lui. «Lasciati cullare da un calice di vino, dall’olio extravergine di queste morbide colline; dai profumi delicati del Leccino e del Pendolino, dal gusto deciso del Moraiolo, da quello avvolgente del Frantoio – le nostre varietà. E dalle immagini, dalle storie, dalle mani di chi accudisce ogni pianta in ogni stagione, e segue ogni oliva con passione, con fatica, con amore, finché non si fa oro verde per un piatto di ribollita; o imperlando una semplice fetta di pane, ché abbiamo buono anche quello».
Lei si leccava le dita.
«Potrei stare giorni a parlarti, amica mia».
«Me ne versi ancora un po’?».
La riaccompagnò che ancora non aveva capito il perché della sua visita.
Lei si tolse il cappello, guardò lontano. «Ho girato così tanto… Un giorno dovrò pure gettare le ancore».
Lui la strinse forte, commosso.
«Qui sai bene cosa troverai» le disse.
«Proteggeremo tutto questo e inventeremo qualcosa di nuovo, soltanto per te». Lei sorrise luminosa.
Gli fece ciao dal finestrino aperto, lui le soffiò un bacio.
«Forse non ti rivedrò mai più» pensò. «Ma adesso Calenzano parla anche di te, di noi».