Rosso di marmo, di sangue e desiderio ⁓ di Irene Vanni
Non si tratta di me, ma di loro. Io vivo qui da sempre, penetro le colline con la mia vena rosso sangue, sento gli alberi nascermi addosso, gli uccelli volarmi d'intorno.
Loro sono gli uomini, i sassetani dall’indole forastica, che hanno costruito questo gioiello di pietra come un nido su uno sperone di roccia, gente di macchia, abile nella caccia e brutale nella guerra, selvatica e cruda, “cagnerina”.
Io, invece, sono il Marmo Rosso di Sassetta e questa è la mia storia.
Io sono rosso.
Rosato, aranciato, biancastro o venato di grigio, ma pur sempre
rosso. Attraverso queste terre come una vena in cui scorre la vita, l’imperitura
essenza della Terra. Da sempre convoglio le acque fresche delle sorgenti
e quelle calde che restituiscono la salute; da
sempre vedo uomini versare il sangue, che ha il mio stesso colore; li
vedo accendere i fuochi delle carbonaie, mani e volti neri, piccole luci rosse
che punteggiano la foresta, bambini che giocano, galline, risate e silenzi, il
pane cotto in forni arrangiati, il sonno insoddisfatto su letti di arbusti, la pazienza, il fuoco lento, l’odore acre, il
fumo bluastro e finalmente il carbone; li vedo guardarmi con occhi intrisi
di luce, come se vedessero in me la loro stessa scintilla, e li sento scavarmi
dentro, toccarmi con carezze amabili o vigorose affinché la mia
carne, che è fredda e dura, diventi viva. Io, sotto le loro mani, mi trasformo nella loro idea, gli scultori, artisti di ogni dove del
mondo.
Questo è, fra tutto ciò che vedo in loro, quello che amo di più.
Sassetta è terra di santi e guerrieri. Il sacro e il profano, la colomba e il sangue.
San Rocco vi si fermò col suo cane; Santa Lorìca è ritratta nei palii di ottobre; Sant’Andrea dà
il nome alla chiesa. Tre santi narrati eppure mai venerati perché i
sassetani, si sa, sono battezzati a brodo di castagne secche.
Lo storico Lombardi lo scrisse, Sassetta è un “vero nido di uccelli rapaci, abitato da uomini usi alla lotta e resi più rudi dall’asprezza del luogo, dalle folte foreste circostanti e dalla sicurezza del loro castello, uomini fieri e sanguinari”.
E io, benché sia fatto di pietra o forse proprio per questo, ne sono orgoglioso.
Tutto pietra e nuvole, con un cuore di
sasso irrorato d’acqua e una pelliccia di alberi verdi. Bellissimo.
Nessuno giunge qui per caso, a Sassetta
si arriva per desiderio. Io sono qui da sempre, e lo so.
Sono qui col mio aspetto primitivo,
aggrappato al ventre delle colline, e nella mia foggia ornamentale, a complemento degli edifici; sono qui nella mia
sembianza domestica, come utensile, e nella mia forma più maestosa, che è quella dell’arte.
Tra queste casette che si inerpicano l’una sull’altra, mi trovi
dappertutto: sono la donna che fiorisce dall’albero, il seme che germoglia; sono l’albero e l’uovo, sono la notte, sono il drago e la leggenda.
Me ne sto qui, mutevole ed eterno, e
aspetto da mille anni e più. Vieni e trovami.
Ma non per caso, fallo per desiderio.