Oggi Riparbella è conosciuto come uno dei borghi più belli delle Colline Pisane, ma a lungo fu Ripa Albella, Ribabella o Ripalbella. Quello che gli antichi volevano dirci è che la città era sorta su un crinale di tufo e di sabbia. Il biancore delle terre, il contrasto di colori, il mare che da qui si vede benissimo li aveva affascinati a tal punto da onorare la città con un nome che rimanda alla bellezza. Il centro storico è di origine medievale e curiosamente a differenza ai paesi limitrofi nel tempo si è sviluppato in una forma longitudinale invece che circolare. La storia del borgo è fatta di alti e bassi, male sotto il dominio di Firenze e nel periodo dei feudi, bene quando ebbe autonomia e soprattutto nel periodo etrusco.
Gli etruschi difficilmente si sbagliavano quando sceglievano un posto per stabilirsi. Doveva essere salubre, facilmente accessibile ma anche difendibile da possibili attacchi. Le colline erano l’ideale. Così qui scelsero Belora, piccola collina a ridosso della statale Aurelia e del fiume Cecina. Gli scavi archeologici condotti nell’Ottocento hanno portato alla luce numerosi reperti. Alcuni pezzi importanti sono ospitati nel museo Guarnacci di Volterra ma tanti sono dispersi nei musei di tutta Europa, perfino all’Ermitage di Mosca. Quello che è certo è che Belora fu un importante centro in epoca etrusca e che qui era stata costruita una ricca necropoli.
“Accuso i monaci di rapina di decime e di corpi”. Così il pievano di Vallinetro, frazione di Riparbella, a proposito dei monaci che nel borgo risiedevano. Siamo nel 1125 e il pievano scrive all’arcivescovo di Pisa per denunciare il fatto che i frati, forse benedettini, che nel frattempo si erano sistemati in un monastero a metà strada per il paese (ancora oggi quel posto si chiama Poggio ai Frati), riscuotevano le tasse e addirittura davano sepoltura ai morti. Stavano, così facendo, spodestando la pieve. La popolazione appoggiò la protesta del pievano tanto che il vescovo di Pisa dovette valutare il da farsi. Dopo lettere e minacce sentenziò che se i monaci non avessero restituito le decime e smesso di appropriarsi dei morti sarebbero stati maledetti per l’eternità. Tanto bastò a far tornare la pace tra monastero e pieve.