Tra corsi d'acqua, casette di pietra e profumo di castagne ~ di Giovanni Guidelli
“Chiudi
gli occhi.” mi disse la nonna. “Ti racconterò di un luogo
magico. C’era una volta…”
“È
una favola?” domandai curioso.
“No.”
rispose lei, con un sorriso dolce, mentre mi rimboccava le coperte:
“Questo luogo esiste davvero, e il suo nome è Raggiolo.”
Poi
continuò:
“Immagina
un suono di acqua che scorre: gorgoglia, saltella, schizza, si
rincorre, di masso in masso, pura come cristallo. Viene giù dai
torrenti Teggina e Barbozzaia, che a un certo punto si uniscono e
cingono d’abbraccio un piccolo borgo. Risuona l’acqua sotto al
ponte dell’Usciolino, che si narra abbia addirittura sopportato il
peso degli elefanti di Annibale.”
“Davvero?!
Elefanti?! E quanti erano?” domandai stupito.
“Migliaia!
Tutti sopra il ponte, E il ponte, seppur piccolo, è ancora lì. E da
lì vedi Raggiolo! Protetto
alle spalle dal gran Pratomagno, che quando è arrabbiato porta neve
a tormenta, Raggiolo conserva ancor oggi intatto l’aspetto di borgo
incantato".
“Incantato?”
“Oh,
si. Casine piccine, di pietra lavorata, riunite come un gregge, dal
fondo del Molino a salir su a piedi fino ai Campi: ecco Raggiolo,
come un presepe.”
“Come
un presepe?!”
“Ogni
casa, una lucina e un camino… e il fumo che sale, ha odore di
castagne.”
“Buone
le castagne!”
“Nei
boschi di Raggiolo ce n’è milioni! Di una varietà che prende
proprio il nome dal paese: la castagna raggiolana, appunto.”
“E
chi ci vive in questo borgo?” chiesi rapito.
“Oh,
questa poi è la meglio: i raggiolatti!”
“E
chi sono?! Dimmelo nonna, dai.”
“Un
popolo fiero, silenzioso, schivo, ma che a favella, all’occorrenza,
sapeva farsi intendere: i raggiolatti erano istruiti. Di
spirito libero, non si son mai sottomessi agli altrui domini. Nel
loro paese, erano loro a dettare legge.”
“Come
gli Elfi?”
“Più
o meno. Ma i raggiolatti sono veri.”
“E
da dove vengono?”
“C’è
chi dice dalla Corsica, dietro a Napoleone Bonaparte, l’Imperatore.
Ma i raggiolatti c’erano da prima! Almeno da quando un Conte non
costruì un Castello, proprio in borgo.”
“Un
Castello? Con la torre e tutto?”
“Con
la torre e tutto: Conte Guido Novello, si chiamava.”
Immaginavo
già di draghi e cavalieri, e il sonno stava quasi per vincermi.
“Raggiolo:
mi ci porti? Te lo sai come arrivarci, vero?”
La
nonna allora tirò fuori da una tasca un fazzoletto ripiegato;
cominciò ad aprirlo e vidi che era una vecchia mappa, come quelle
della caccia al tesoro, e sopra erano disegnati, in mezzo ad un mare
di verde dei boschi a castagno e a faggi, una serie di piccoli
rettangolini rossi, tutti raggruppati, alla fine di una strada: erano
i tetti di Raggiolo.
“Ohhh!
Allora esiste davvero!” esclamai sognante.
“Te
l’ho detto.” rispose lei, con un sorriso. Poi mi baciò in fronte
e spegnendo la luce sussurrò: “Ora dormi, però. Ti ci porto
presto: promesso”, e prese a cantare piano, una
ninnananna
dolce:
“Pesta
Menghino ti darò la mela… Menghino un vol pestar perché un’è
in vena... Canta Menghino ti darò una noce, Menghino un vol cantar
perché un’ ha voce…”