Quando Leopardi infreddolito vagheggiò un soggiorno senza mantello tra il profumo d’aranci a Massa
Quanto all'inverno prossimo, sono oramai deciso di andarlo a passare a Massa di Carrara, che è lontano di qua settanta miglia; quel clima è ottimo, simile a quello di Nizza… si esce e si passeggia senza ferraiolo; in mezzo alla piazza pubblica crescono degli aranci, piantati in terra.
Così scrisse da Firenze l'infreddolito Giacomo Leopardi nell'ottobre del 1827 in una missiva alla cara sorella Paolina, “prigioniera” nel palazzo di Recanati.
Da alcuni anni, infatti, un doppio filare di alberi di arancio era stato "piantato in terra", non in serre o cortili protetti, a coronamento della nuova piazza pubblica voluta da Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone e duchessa di Massa, quale fronte adeguato per la monumentale facciata barocca del Palazzo Ducale.
Erano stati piantumati nel 1819 gli "amari" ma belli melaranci a cingere tre lati della piazza ducale, e, del resto, già alcuni secoli prima, nella sua "Descrizione di tutta l'Italia", Leandro Alberti così dipingeva il paesaggio attorno alla città: "un vago giardino, poiché tale si può chiamare tutto quel paese, essendo pieno di folti boschi di cedri, d'aranci e d'olivi".
E a lui fece eco Carducci quando scrisse: "sai che a Massa c'è una piazza tutta circondata di doppi filari di aranci?"
È un clima assai mite che dal Medioevo ha favorito lo sviluppo delle coltivazioni di agrumi nel circondario massese, grazie al vicino mare che mitiga le stagioni e alla preziosa chiostra delle Apuane che ne protegge la vitalità dai freddi venti invernali. E così aranci e limoni vegetano abbondanti negli orti familiari e fanno cornice non solo alla piazza Ducale, ma a strade e altre piazze, come un insolito arredo urbano.
Da tempo un obelisco in marmo imbarcato per Barcellona era stato rimandato nella terra nativa, e giaceva abbandonato sulla spiaggia marina, come un prezioso residuo di “straccore” di mareggiata invernale.
Nel 1853 fu portato e collocato al centro della piazza. Ma lo "stelo" marmoreo si perdeva nel vasto spazio dalla cinta arborea, e il professor Giovanni Isola, grande ornatista vincitore all’Esposizione Universale di Parigi, propose allora di allocarne alla base quattro fieri leoni, da scolpirsi presso la locale scuola di scultura, in blocchi di marmo di palmi 190.
Ci vollero però più di trent'anni perché potessero essere finalmente scolpiti e collocati, e il professor Isola non fece in tempo a vederli, lasciandone al figliolo Lodovico l'impegno. Narra però la leggenda che i quattro felini furono modellati eguali l'uno all'altro, ma in una notte misteriosa d'estate essi mutarono postura e attributi nel ghermire, tra le robuste zampe, quattro diverse prede.
Da allora vigilano come guardiani severi su tutti i passanti che, nelle giornate piovose d'autunno o nei pomeriggi assolati d'estate, ma mai infreddoliti come Giacomo a Firenze, attraversano la Piazza degli Aranci, come fece Giosuè Carducci cinquant'anni dopo, per seguire i loro più o meno fragili destini.