Tra draghi e pirati, il lungo rapporto di un patrono errante con la sua terra promessa
Erano passati 400 anni dalla nascita di Cristo e un uomo inviso al Re dei Vandali scappava per le acque del Mediterraneo in cerca di un rifugio. Mamiliano salpava dalla Sicilia, dalla Tunisia, dalla Sardegna e in poco tempo si trovava inseguito dagli sgherri di Gelimero, la catena informativa dei solerti luogotenenti funzionava meglio di quanto qualcuno potrebbe immaginare. Mamiliano sbarcava e in pochi mesi notando in un angolo del foro, in un tempio, in una locanda lo sguardo indagatore di un paio di funzionari nascosto dietro un calice, un drappo o una colonna, capiva che era di nuovo il momento di salpare.
Un giorno girovagando tra i mari lo sguardo del fuggitivo si posò su un monte di granito dalle invitanti baie verdi, la piccola isola spuntava dai flutti non lontano da un promontorio, era nota come Monte Giove.
Tra le acque smeraldine di quella splendida isola, Mamiliano pensava di aver trovato finalmente pace, nessuno l’avrebbe inseguito fin lì. Ben presto però fu costretto a smettere di ignorare i cupi ruggiti provenienti dalla vetta del monte e quando vide dispiegarsi in volo un mostro smisurato, dovette ancora una volta rimboccarsi le maniche. L’isola era infatti infestata da una bestia ancestrale, un immenso drago alato che proprio lì aveva scavato la sua tana.
Mamiliano non poteva permettere che una creatura come quella infestasse la sua isola. Decise di tendergli un agguato: per sorprenderlo salì dalla fitta vegetazione della cala delle Caldane, lo raggiunse in cima al monte e quando il drago si accorse della presenza dell’uomo ce l’aveva già addosso. Ne scaturì una battaglia furibonda, Mamiliano in groppa al mostro riusciva a tenersi saldo mentre il bestione volava e poi, asfissiato dalla stretta dell’eroe, si abbassava, dibattendosi per disarcionarlo. Ma Mamiliano resisteva e a forza di colpi e di strattoni sconfisse il drago, che cadde vinto nella baia delle Cannelle, lasciando in eredità all’isola un tesoro che si può ancora ammirare. Immergendosi sott’acqua in quella spiaggia anche oggi si vedono delle scaglie d’oro, i resti dissolti delle squame del drago.
Secoli dopo Mamiliano era il patrono dell’isola, ormai solita rivolgersi a lui in caso di necessità. Abituato alle incursioni dei pirati, il Giglio era ancora una volta assediato dai corsari. I filibustieri da secoli ne vessavano le coste con cruenta ferocia, ma nel fatidico 18 novembre 1799 la situazione era disperata.
Gli assalitori, in schiacciante superiorità, erano a Campese. La loro flotta era nutrita: due fregate e cinque sciabecchi. L’isola fu invasa da una fiumana di pirati. I gigliesi erano pochi e quasi inermi. Si difesero sparando per ore dai torrioni del Castello.
L’avamposto della torre di Campese cedette, ma gli isolani non si arresero e continuando a resistere pregavano San Mamiliano, che fece apparire sulle mura del forte la sembianza di una moltitudine di soldati, così tanti da spaventare gli assedianti spingendoli alla fuga.