Gli scorci panoramici delle Colline Pisane, oggi come ieri, richiamano l’attenzione su questo borgo ricco di ville che i nobili qui si facevano costruire alla ricerca di pace e tranquillità. Il paese come lo vediamo oggi è stato quasi interamente ricostruito dopo che, durante la guerra con Firenze, nel 1433 venne distrutto; in particolare il castello, che fino a quel momento era il simbolo del paese. Ebbe la sua villa a Fauglia anche l’attrice Marta Abba, musa e amante di Luigi Pirandello. La villa porta il nome di un’opera del maestro, Villa Trovarsi, che avrebbe dedicato proprio all’attrice. Tra i due è noto soprattutto un enorme carteggio che da poco è stato recuperato e ricostruito. Dopo la lettera formale che lei le scrive per ringraziarlo per averla scritturata Pirandello le scriverà fino al 1936, anno della morte, ben 560 lettere. Lei si fermò a 238.
La campagna pisana è stata molto amata dai pittori Macchiaioli. In una delle ville di Fauglia visse a lungo e morì Giorgio Kienerk. Nato a Firenze fu allievo dello scultore Adriano Cecioni e del pittore Telemaco Signorini. Insieme ad altri giovani pittori toscani fu portavoce di un movimento che guardava alle nuove tendenze internazionali. Dai suoi soggiorni nella campagna pisana sono scaturite alcune opere che ritraggono in particolare i campi di grano e le infuocate estati. Grazie alle opere che la figlia Vittoria ha donato alla comunità di Fauglia è stato aperto un museo dedicato a Kienerk dove si trovano pitture ad olio, bassorilievi, sculture, incisioni e litografie. Kienerk morì nel 1948 nella casa di Poggio alla Farnia nella villa di famiglia.
Delle tante battaglie che Pisa combatte contro Firenze qui a Fauglia ricordano quella che ebbe per protagoniste le donne, che trovatesi sole a difendere un castello lo fecero egregiamente, tanto da mettere in fuga i fiorentini. Le cronache raccontano che nell’anno 1364 le donne “si comportarono da valentissimi soldati”e non avendo altre armi con cui combattere affrontarono i soldati nemici gettandogli addosso “un numero infinito di bagni d’api”. In pratica usarono gli alveari come arma di difesa e lo stratagemma risultò vincente perché raccontano ancora le cronache “questi animali entrando nelle visiere dei cavalieri e pungendo al volto e agli occhi i soldati arrecarono tanta molestia che spaventati si ritrassero indietro”.