Una cittadina appartata, tutta da scoprire ~ di Maria Pace Ottieri
Il corso precipita a valle, come un fiume grigio ansioso di gettarsi nel mare, sbatte e rimbalza su un frammento di paesaggio intatto, un’immagine ferma e bellissima: lunghe quinte di colline a perdita d’occhio, le macchie scure dei boschi, quelle verde tenero delle viti e color ocra del grano, un sottile velo azzurro pallido chiude l’orizzonte.
L’architetto, il pittore del paesaggio toscano, era il contadino a mezzadria, costretto a coltivare ovunque poteva, ad addomesticare con i terrazzamenti anche i terreni più impervi, curare le acque degli stagni, i pascoli, il taglio del bosco.
Il mezzadro viveva in condizioni difficilissime, tutto era a metà con il proprietario della terra, raccolti, polli, uova, agnelli, maiali, anche le perdite, senza mai poter contare su una riserva.
Eppure la bellezza della campagna toscana è intimamente legata alle nequizie della mezzadria che l’ha modellata per sette secoli, dal Basso Medioevo agli ultimi anni Settanta.
I colori e le forme diverse dei campi, a scacchiera, erano il frutto della tecnica del maggese che alternava coltivazioni ad appezzamenti tenuti a riposo.
Isolati,
i poderi erano collegati tra loro da strade vicinali, spesso orlate dalle file
di cipressi alti e magri che sono l’insegna della Toscana.
Nonostante i colpi mortali inferti
all’agricoltura e l’esodo dei contadini, il paesaggio toscano resiste, tiene
fede alla sua perfezione. La fatica e la costanza sono oggi di rumeni,
albanesi, marocchini, polacchi, indiani, tunisini, bulgari che ripopolano anche
i vecchi paesi svuotati.
Per sfidare il suo nome e la sua fama di paese riottoso, proposi una decina di anni fa al Comune di entrare a far parte di un’organizzazione internazionale che ospita scrittori profughi, la Rete delle città rifugio. Da allora, Chiusi ha dato asilo a russi, iraniani, siriani. All’arrivo gli scrittori si stupiscono che tutto sia antico. Anche nei loro paesi ci sono resti delle civiltà passate, ma si trovano fuori dalla città, dove non si vive, qui tutto è mischiato, si inciampa in frammenti di mosaici andando a far la spesa, si cammina per la strada sopra cunicoli scavati 2500 anni fa, si può star seduti sulle larghe mura etrusco-romane, lungo il paese.
Anche chi nasce a Chiusi viene da lontano, del resto.
Negli ultimi secoli prima della nascita di Cristo l’etrusca Clevsin era una delle città più note dell’antichità, da qui Porsenna mosse alla conquista di Roma. Una buona parte di quello che si trova di scritto in etrusco si trova a Chiusi, e i suoi tremila epitaffi ritrovati ne fanno la Spoon River dell’Etruria. Ma gli Etruschi non meritano affatto l’aura funerea che viene loro attribuita, perché è grazie al loro gusto della vita che si curavano nei dettagli della morte, per garantirsi, anche nell’al di là, gli stessi piaceri. Ancora oggi l’aria a Chiusi sa di fuoco di legna, di mosto, sughi, carni arrosto, e i sorrisi misteriosi e allusivi dei coniugi etruschi sul sarcofago sembrano invitarci a conoscerli.