Parliamo del capostipite dei cereali, citato nella Bibbia e da Erodoto. Per gli archeologi viene dalla mezzaluna fertile, fra Assiria ed Egitto: dove è nata la civiltà. I Greci rinunciarono all’orzo pur di
nutrirsi del farro. In Italia arrivò nel V secolo a.C., era il cibo preferito
degli Etruschi, i Romani lo macinavano per farne una polenta. Sacro a
Cerere il farro era la paga dei soldati e il dono tradizionale della sposa al
marito nel giorno del matrimonio. La focaccia non lievitata di farro, il libum, era il regalo del capodanno
romano.
È vero, con l’andare dei secoli il farro lasciò spazio ad altri cereali, i campi coltivati si ridussero, arrampicandosi sui terreni sempre più impervi delle montagne. Ne restarono sempre meno, qualcuno tra le colline dell’Umbria e delle Marche ma soprattutto qui, tra le montagne di Garfagnana.
Quello che molti non potevano prevedere era che la rotta era destinata ancora a invertirsi. Nel dopoguerra i lucchesi ne compravano sempre di più, la novità diventava passaparola e contagiava sia gli amanti della cucina che i primi turisti che risalivano il Serchio in cerca della mitica zuppa. Diventava chiaro che ci si poteva cavare qualcosa, da questo farro: forse addirittura si poteva sperare in una rinascita di tutta la nostra terra. In pochi avevano venduto i campi da queste parti, anche chi era partito per le Americhe se li era tenuti, e in tanti a quel punto iniziarono a imitare mio nonno e coltivare il cereale rimasto nascosto tra le gole delle nostre valli.