Quando ci si muove tra le fronde intorno al minuscolo borgo di Casavecchia o quando ci si trova tra a Castelluccio o a Le Caselle, si è avvolti dal bosco e dalle tracce antiche delle pievi, dei microscopici villaggi, e di sera, nella valle, lontana, balugina Arezzo e da un’altra parte c’è il fiume. Certo, questo è un luogo nascosto tra le gole di piccole valli e su modeste alture boschive, ci si sente all’inizio del Casentino eppure, se Capolona è caratterizzata in maniera unica da qualcosa, lo è dall’Arno che, proprio nel cuore di questa valle, “torce il muso” ad Arezzo. E si tratta di un fiume vivo, il cui rapporto con la comunità è raccontato da Simona Baldanzi nelle pagine dedicate a Capolona nel suo Maldifiume:
Daniela conosce la cooperativa In Quiete e i loro progetti, conosce Lando Landi e i suoi musei, conosce ciò che sta intorno all’Arno da queste parti. Mi spiega che secondo lei si sta muovendo qualcosa in un’ottica di recupero, di ripresa in mano dei saperi per rigiocarli. Mi spiega che gli ecomusei, come quelli di Lando, o come quello dell’acqua a Capolona che sta proprio sulla riva dell’Arno, sono frutto di un patto con il quale una comunità si impegna a prendersi cura del proprio territorio, un patto informale, per conservare e utilizzare il patrimonio culturale della popolazione che ci vive e ci ha vissuto.
Il racconto di Maldifiume prosegue, e nel capitolo successivo Simona Baldanzi si fa accompagnare proprio là dove il fiume, in modo suggestivo, piega come volesse davvero evitare la città.
Con l’ombrello arancione di Paolo, Marinella e io stiamo sul camminamento di cemento lungo l’Arno a Capolona. Ha piovuto tutta la notte e il fiume è gonfio e robusto. Abbiamo chiesto a Sergio di fermare l’auto e di guardare questo tratto dove la schiuma bianca dell’acqua che scende pare una grande lingua biascicosa pronta a leccare le case, i muri, le pietre. Qua l’Arno ha voce forte. Qua l’Arno è il paese, è la barra del treno che si abbassa per far scendere gli studenti alla stazione, è il museo dell’acqua nella ex centralina, è la ruspa che lavora agli argini e smuove sassi, è la terrazza del bar del centro che si affaccia sul fiume, e lì si discute coi gomiti appoggiati alla ringhiera che guardando l’acqua che scorre anche le parole vengono meglio, viene lavata via la timidezza.
L’Arno non arriva a Arezzo città: come ha descritto Dante nel Purgatorio, torce il muso dalla città abitata da botoli ringhiosi. A Giovi, una frazione, compie una curva quasi a novanta gradi.